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Se venite a trovarmi nel mio studio potrete leggere questa frase di Werner Herzog sulla parete della sala riunioni: “Tuttavia la domanda a cui tutti volevano risposta era se avrei avuto la forza e il coraggio di ricominciare di nuovo tutto dall’inizio. Risposi di sì perché altrimenti sarei stato un uomo che non aveva più sogni e senza sogni non volevo vivere.”
Questo perché sono fondamentalmente un’idealista che crede ancora nell’importanza del proprio mestiere all’interno della società contemporanea e che crede nel dovere morale dell’architetto verso la società in cui vive.
”L’opera degli architetti deve servire alla vita[…]; l’arte di costruire non è per loro una teoria e una speculazione estetica, e’ la volontà dell’epoca tradotta in spazio. Vivente, in trasformazione, nuova. Il carattere della nostra epoca deve rispecchiarsi nei nostri edifici.”
Uscita dall’università ho collaborato con alcuni piccoli studi di architettura della mia città per potermi avvicinare alle questioni burocratiche ed amministrative relative la mia professione.
Si è trattato di una scelta ben precisa: non ho voluto andare a lavorare in qualche grande studio di architettura dove avrei sicuramente potuto vedere lo sviluppo di progetti importanti, ma dove non avrei avuto la possibilità di esprimere la mia idea di architettura.
Volevo aprire il mio studio e realizzare i miei progetti.
Vista la situazione attuale del mondo del lavoro, per alcuni è stata una scelta coraggiosa, per altri da incosciente, ma per me la cosa più importante era avere la possibilità di dire la mia, di concretizzare le mie idee, il mio pensiero sull’arte del costruire.
Il punto è che io non credo affatto che l’architettura sia una questione di forma; l’architettura non è un’opera d’arte; la forma non è l’obbiettivo del progetto, né il suo oggetto; essa è solo il risultato finale di un processo di studio e di ricerca volto a dare risposta ad un problema concreto e solo a quel punto sarà “essa stessa, la forma, la forma mai cercata, elemento necessario ed insostituibile del suo progetto”.
Per me ogni progetto rappresenta una sfida nuova, in cui mettere tutta me stessa, le mie competenze, la mia esperienza, indipendentemente dal tema o dalla difficoltà del progetto; sono io che mi metto alla prova.
I miei progetto cercano di essere la risposta onesta a dei problemi; non vogliono essere accattivanti né stupefacenti; non vogliono stupire né attirare l’attenzione. L’architettura per me non è un’opera d’arte, ne un’iconografia; l’architettura è un fatto materiale, è costruzione, è la risposta ad un problema di natura pratica, etica e sociale.
Per questo sono convinta che un progetto non possa essere bello o brutto, un progetto deve essere necessario, non solo dal punto di vista dell’uso che se fa, delle questioni urbanistiche e tecniche, ma anche e soprattutto dal punto di vista etico e morale.
Rosaldo Bonicalzi, mio professore all’università, durante le revisioni dei progetti, quando noi studenti pendevamo dalle sue labbra in attesa che ci dicesse se il progetto andava bene oppure no, lui ci diceva sempre che la domanda da porsi era se il nostro progetto era migliorativo rispetto allo stato dei luoghi oppure no.
In questo senso il progetto è la risposta necessaria ad un problema concreto.

Spero di essere riuscita in queste brevi annotazioni a dire qualcosa di me, del mio background culturale e del mio modo di intendere il mestiere dell’architetto.

 

 

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